La coltivazione della vite continuò a caratterizzare il territorio anche nel Medioevo e gradualmente il vino divenne il prodotto più importante dei colli novaresi. L’antica denominazione rinvenuta a Romagnano di “contrada delle vigne tagliate” (odierna Via Ministro Caccia) è simbolo di uno dei peggiori delitti che si potessero commettere frutto delle scorribande vercellesi nel corso del Duecento, che vedevano il Comune di Vercelli e il Comune di Novara in lotta per il predominio in direzione della Valsesia. Proprio per questo nel 1242 Vercelli fondò il borgofranco di Gattinara.

Vite ad alteno
(Tacuinum Sanitatis, 1474)
In quegli anni i Canonici di San Giulio d’Orta possedevano una vasta proprietà fra Ghemme, Breclema (località oggi scomparsa) e Romagnano, con numerose vigne coltivate con due sistemi, a coltura specializzata e a coltura promiscua: il primo prevedeva la sola vite, il secondo invece l’alteno, cioè i tralci della vite erano tesi fra alberi e al di sotto si seminavano i cereali.
Leggendo le antiche pergamene scopriamo che per la vigna denominata “Larda”, Ugo de Baltega, fornaio di Ghemme, pagava annualmente ai Canonici una botte di puro mosto (“bottallum uunm”) e due soldi imperiali, e doveva dare un pasto di pane, vino e carne al conducente che veniva a ritirare la botte al tempo della vendemmia. La prima vendita di vino documentata sembra essere quella che Guidone fece nel 1221 a Marcio de Vemenia: 12 bottali di mosto, dei quali doveva ancora consegnarne la metà, come Marcio ebbe a giurare “ad Sancta Dei Evangelia”.

Giulio da Milano,
Beata Panacea, 1543
(Chiesa parrocchiale, Ghemme)
Simbolo di quest’epoca ci sembra il ghemmese Giacomino de Beccho che portava un soprannome particolarissimo; era, infatti, chiamato “Potor”, cioè bevitore: suo figlio Benedetto nel 1448 fondò un beneficio di quattro messe settimanali nella cappella della Beata Panacea a Ghemme donando alcuni terreni, tra cui una vigna posta dietro la chiesa di S. Pietro.

Lavori alla botte
(Chiesa di S. Pietro, Fara)
Proprio la chiesa di San Pietro (dipendente dall’abbazia di San Pietro di Castelletto Cervo), oggi scomparsa, insieme a quella di San Fabiano sono testimonianza della presenza sul nostro territorio, dove possedevano numerose vigne, dei frati di Cluny, che possedevano numerose vigne, e grazie ai quali la viticoltura e le buone prassi agrarie poterono sopravvivere alle invasioni barbariche.